Moda passeggera o futuro del networking?

Ma soprattutto, a cosa serve e a chi potrebbe tornare utile un nuovo social network?

Da qualche settimana l’icona di un nuovo social è comparsa sulla home dei nostri smartphone. O almeno di una parte. È Clubhouse, il social basato tutto sulla voce, ad oggi appannaggio esclusivo dei soli utenti iOS (ovvero chi usa iPhone o iPad).

Come iscriversi a Clubhouse

Clubhouse è un social atipico che non insegue la logica della massa: oltre al fattore “A” (come Apple), un’ulteriore fattore discriminante è l’accesso su invito.

Nomen omen, o come la diremmo noi “il naming che fa la differenza”.

Clubhouse, infatti, è a tutti gli effetti un club. Per registrarsi occorre inserire il proprio numero di telefono e se (e solo se) un altro utente già registrato ha il nostro numero in rubrica, potrà farci da “garante” permettendoci l’ingresso.

E una volta che siamo nel club?

Clubhouse è un misto tra un nostalgico ritorno alle origini della radio ed un frizzante sguardo al mondo dei podcast, trend di successo globale dell’ultimo anno.
L’utente potrà selezionare i suoi interessi e scegliere tra diverse “stanze” divise per argomento: dalla politica all’attualità, dall’intrattenimento al tech, non è poi così complicato trovare la propria cerchia su Clubhouse. Le room si dividono in pubbliche, social (per contatti tra loro interconnessi) e private e si può scegliere di trasmettere in diretta o di programmare la propria live: una volta nella stanza, si potranno ascoltare le opinioni di altri utenti e, se lo si desidera, chiedere di intervenire per esprimere la propria sull’argomento oggetto di discussione.

Tutto in maniera semplice e diretta.

Perché Clubhouse può fare la differenza

Per un social in cui la voce fa da padrona, si ha l’impressione di un coraggioso ritorno al “content is king” di gatesiana memoria.

Da tempo i social vengono descritti come i luoghi dell’immagine costruita e dell’apparenza, in cui le relazioni sono mediate dalla tastiera e da uno schermo che nasconde spesso l’autenticità del nostro pensiero. La voce, questo, difficilmente lo permetterebbe: perché il tono svela emozioni e sentimenti e, soprattutto, svela la nostra capacità di esprimerci su un argomento. Opinioni o passioni che siano, quando il focus è tutto sulla voce è inevitabile che cambino gli equilibri del contenuto da trasmettere e, di conseguenza, l’attenzione di chi ci ascolta.
L’audio, infatti, a differenza di un video richiede l’uso di un solo canale, l’orecchio, e ciò ne favorisce la fruibilità e l’autentico interesse.

Certo, ogni social ha i suoi limiti e anche Clubhouse ne ha parecchi. Pensiamo, ad esempio, alla questione fake news: nulla vieta ad un utente di aprire una stanza in cui iniziare a diffondere notizie false o, nel peggiore dei casi, pericolose.  Oltre ad una non irrilevante perplessità sulla privacy della piattaforma, sollevata appena due giorni fa da alcuni ricercatori dello Stanford Internet Observatory.

Proviamo, però, a guardare le potenzialità della piattaforma e ad ipotizzare alcuni possibili campi di applicazione per capire davvero a chi può servire un social come Clubhouse.
Ci abbiamo pensato e al momento vorremmo condividere un paio di suggestioni: per la comunicazione politica, Clubhouse potrebbe essere la piattaforma perfetta per la creazione di comitati politici virtuali, laddove lo scambio di opinioni potrebbe essere finalizzato alla creazione di programmi, progetti e idee per la comunità. E a proposito di comunità, perché non pensare alla creazione di community geo referenziate per la condivisione di idee per la progettazione partecipata?

Porte aperte, dunque a chi ha qualcosa da dire e, soprattutto, sa quello che dice.

O almeno questa è la speranza.