Legge di bilancio 2020.
Che la macchina del nuovo Governo non sia partita benissimo, lo si capisce anche dalla strategia comunicativa delle opposizioni.
Che hanno messo sullo sfondo l’immigrazione per parlare di nuove tasse, recuperando in tutto e per tutto la narrazione della sinistra che mette le mani nelle tasche dei cittadini e che vuole decidere al posto i cittadini. Con la destra che torna a porsi come alfiere delle libertà individuali, pagare come si vuole, mangiare quello che si vuole.

La parola tasse dovrebbe essere bandita dal vocabolario di qualsiasi politico. E invece tra annunci di nuove (la sugar tax su tutte), fuoco amico (il Pd è il partito delle tasse, Maria Elena Boschi) smentite (non stiamo aumentando le tasse, Gualtieri e Conte, praticamente ogni giorno), le lancette dell’orologio sembrano pericolosamente tornare ai tempi del secondo Governo Prodi.

Quelli erano anche gli anni in cui George Lakoff metteva in guardia i democratici americani dal lasciare alla destra la bandiera comunicativa delle libertà, a cominciare da quelle di carattere economico. Una lezione che, a distanza di tanti anni, sembra non essere stata appresa.

Allo stesso tempo, in questa legge di Bilancio manca un provvedimento simpatia, un qualcosa che rappresenti la proposizione di valore di questo Governo. Se il sentire pubblico è quello della Privazione, parlare dello scampato pericolo dell’aumento dell’IVA non basta, semmai alimenta in alcuni un ulteriore senso di frustrazione. Manca una misura bandiera, che dia il senso del risarcimento, della chiusura delle ferite sociali, come un anno fa furono percepite quota 100, reddito di cittadinanza e misure per le partite IVA.

La verità è che questa legge di Bilancio è stata scritta con la penna della messa in ordine dei conti pubblici. Che però è inadeguata per stabilire una qualsiasi forma di connessione sentimentale col Paese.  A meno che non si pensi che questa non la si possa stabilire soltanto attraverso il principio della pubblica responsabilità. E questo sì, sarebbe un errore ancor più grave.

a cura di G.

 

 

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