Non cade, ma se cade.

Non brilliamo di originalità nel pensare che questa legislatura avrà vita lunga, ma per un attimo proviamo a immaginare che a Renzi, nel ruolo di guastatore, sfugga la mano; che nei Cinque Stelle la balcanizzazione in atto raggiunga vette insostenibili; che Zingaretti intraveda, con un Giuseppe Conte candidato premier, uno spazio per il Pd come vero e unico antagonista del salvinismo.

Quindi crolla tutto e si vota. Fosse così semplice. Tutto dipende dai tempi, anzi, dalle settimane.

Con l’inizio del nuovo anno, entrerà in vigore il taglio del numero dei parlamentari. A meno che nel frattempo i contrari alla riforma non abbiano raccolto le firme per il referendum costituzionale, che andrebbe celebrato a giugno 2020.

Se si votasse prima di allora, questo vorrebbe dire che la riforma non sarebbe operativa e che quindi saremmo chiamati a eleggere 630 deputati e 315 senatori.

Non il massimo dal punto di vista della pulizia istituzionale: una riforma costituzionale, approvata dal parlamento, che diventa operativa dopo 5 anni.

Molto dipenderà quindi dalla volontà di Mattarella. I retroscena dicono che il Presidente non avrebbe problemi a sciogliere ugualmente le camere nonostante, nella crisi d’agosto, quando alcuni chiedevano di completare l’iter parlamentare della riforma per poi andare subito al voto, si parlò di un Presidente contrario per le ragioni appena esposte.

La situazione si ingarbuglierebbe nel caso in cui si decidesse di attendere l’esito referendario per poi andare al voto. Se il taglio dovesse essere confermato, a quel punto occorrerebbe mettere mano alla legge elettorale.

Contestualmente al taglio, il Parlamento ha approvato una legge sull’applicabilità dell’attuale legge elettorale, con la sola accortezza di un decreto legislativo da emanare entro 60 giorni dall’entrata in vigore della riforma, per la riscrittura dei collegi sul nuovo numero di eletti.

Pertanto se il referendum venisse celebrato a giugno 2020, davanti a una vittoria dei Sì, l’estate servirebbe per disegnare i nuovi collegi, ma un attimo dopo si entrerebbe nuovamente nella stagione della Legge di Bilancio.

Quindi la prima vera finestra elettorale diventerebbe quella di fine inverno/primavera 2021. E sarebbe l’unica: nella seconda parte di quell’anno, il Presidente della Repubblica, entrato nel suo ultimo semestre, il cosiddetto semestre bianco, non avrebbe più nelle sue facoltà lo scioglimento anticipato delle camere.

C’è da dire contro questo scenario thriller che fino ora si è ben lontani dal numero di firme necessarie tra i parlamentari per la richiesta del referendum: molti non vogliono mettere la faccia su una campagna così impopolare, ma non è detto che non avvenga se la situazione non precipiti.

E poi c’è sempre Mattarella: che potrebbe inchiodare il Parlamento alle proprie responsabilità di una riforma costituzionale che non entra subito in vigore, con buona pace di tutta la campagna propagandistica annessa sul taglio delle poltrone.

Ma oggi nei palazzi si ragiona anche di questo, con l’idea, condivisa dai più, che la legislatura andrà avanti, seppur con un Governo diverso dall’attuale. A meno che…

 

 

 

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